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Status: Internamento in un ospedale psichiatrico giudiziario.
Suicidato per impiccagione nel luglio 2001
Misteriosi omicidi in città
di Francesca Belotti e Gian Luca Margheriti
ViviMilano.it
ANNI NOVANTA - Un'altra storia, un'altra Milano, quella frenetica
e caotica della fine degli anni Novanta. Alle
soglie della primavera del 1997, i crimini di un killer ancora a piede
libero raffreddano il clima tiepido del mese di marzo. Gli agenti
di polizia diffondono un identikit: Gaspare
Zinnanti, trentaquattrenne di origini palermitane, è ricercato,
formalmente come supertestimone, ma in realtà grava su di lui l'accusa
di duplice omicidio.
Una tranquilla domenica mattina,
una ragazza viene rapinata nei pressi della Stazione Centrale. La
ragazza è una giornalista che, da brava addetta ai lavori, conosce i
fatti di cronaca del momento e, grazie ad alcune foto pubblicate sui
giornali, riconosce nell'uomo che le ha
sottratto del denaro il ricercato Gaspare Zinnanti. La donna
corre a riferire quanto successo alla Polfer, che, poco dopo, ferma e
arresta il ragazzo. Gaspare non nasconde nulla di fronte agli inquirenti:
confessa tutto, anzi di più. Ammette la sua responsabilità in un terzo
omicidio e si autoaccusa di un tentato omicidio. Ma che cosa ha fatto
Gaspare Zinnanti?
ZINNANTI - Nel 1992, questo ragazzo di
bella presenza, spigliato e affabile nei modi, conosce Francesca Coelli,
un'ex insegnante divorziata e benestante, che abita in un
elegante appartamento di via Vanvitelli, nel cuore del quartiere Città
Studi. La donna non è più giovane (ha cinquantadue anni), e non è più
bella, ma a Gaspare non interessa e decide di convivere con lei.
Il loro rapporto, più che altro di natura
sessuale, si interrompe in un pomeriggio del marzo del '97, quando
Gaspare impugna un martello e colpisce Francesca alla testa ferendola
mortalmente. Il corpo senza vita della donna viene rinvenuto dal
fratello il 21 marzo.
Gaspare prende il treno e fugge a Roma, dove resta
solo un giorno, poi torna a Milano, deciso a rivedere una sua vecchia
conoscenza. Esce dalla Stazione Centrale e cammina per un po', poi
imbocca le scale che portano alla metropolitana, linea gialla, stazione
Sondrio. Si mischia tra la folla, avvicinandosi al bordo della banchina.
Appena prima che passi il treno appoggia la
mano sulla schiena di una donna e la spinge giù dal marciapiede.
Genoveffa Nuzzo, una casalinga di quarant'anni, viene subito ricoverata
per trauma cranico ed edema cerebrale. Operata, rimane undici giorni in
coma, ma alla fine è salva.
ALTRE VITTIME - Quello stesso giorno, Gaspare si reca in viale
Monza, dove abita un suo amico di vecchia data.
Alvaro Calvi, ex marinaio, ex porta valori,
ora cinquantottenne in pensione, lo accoglie a braccia aperte e
lo invita a fermarsi nel suo monolocale fin quando lo desidera. La
relazione tra i due uomini è di natura omosessuale: Alvaro è molto
legato al ragazzo, gli vuole bene, ma questo non impedisce a Gaspare di
colpire l'uomo alla testa con un martello. Il cadavere di Calvi viene
trovato dal cognato sabato 22 marzo.
Zinnanti, di nuovo senza casa, si dirige verso la
Stazione Centrale, dove incontra Vincenzo
Zenzola, un tossicodipendente di quarantatre anni, schedato dalla
polizia per piccoli precedenti. I due si conoscono di vista e Gaspare,
che non sa dove trascorrere la notte, accetta di seguire l'uomo in una
palazzina abbandonata dalle parti di via Ripamonti, alla periferia sud
della città. La mattina seguente è solo
Gaspare che si sveglia, perché Vincenzo ha la testa sfondata. E'
lo stesso Zinnanti a confessare l'omicidio alla polizia, che recupera il
corpo dell'uomo in un edificio di via Sibari.
CONFESSIONE - Perché Gaspare uccide?
Ciò che racconta alla polizia, dopo non poche ritrattazioni, ha
dell'incredibile. E' stata Francesca a chiederglielo, infatti
Gaspare è sicuro di averle sentito dire: «Tu sai cosa devi fare»; quanto
ad Alvaro «Gliel'ho letto negli occhi che mi chiedeva di ucciderlo»;
mentre con Vincenzo, Gaspare ha compiuto un atto di «purificazione».
Infine, ha spinto la signora Genoveffa sui binari della metropolitana,
perché gli «mancava l'aria» e doveva «fare qualcosa prima di morire».
Dice: «Io gli volevo bene […] io non li odiavo
[…] non volevo che soffrissero, la vita è triste, è fatta di tanti
passaggi, si deve passare da uno stadio all'altro, io volevo far del
bene».
Sono frasi sconnesse, deliranti, che spingono i
sostituti procuratori che si occupano del caso a chiedere una perizia
psichiatrica. E' il professor Gianluigi Ponti,
docente di psicopatologia forense e criminologia all'Università di
Milano, che incontra Gaspare Zinnanti e ciò che il ragazzo gli racconta
nel corso di tre colloqui, lo porta a concludere che Zinnanti è «affetto
da una grave e acuta schizofrenia e dotato di elevatissima pericolosità
sociale». Gaspare si sente investito da una
missione divina e crede che le sue azioni siano guidate da forze
sovrannaturali: il crocefisso gli parla, sente delle voci e
avverte delle presenze, in un concerto di allucinazioni che lo portano a
uccidere le persone che gli danno affetto, offrendo loro la salvezza.
INFANZIA DIFFICILE - La storia di questo serial killer risulta
ancora più strana se si pensa che, prima di
quei dieci giorni di follia, il ragazzo non da segni di squilibrio, pur
conducendo una vita dura e difficile fin dalla prima infanzia. E'
un bambino orfano di padre, Gaspare, che cresce e resta in collegio fino
all'età di quattordici anni. Cattive compagnie, amicizie che non lo
aiutano, la droga, poi il servizio militare che sembra rimetterlo in
carreggiata, tanto che decide di sposarsi e di cercare lavoro. Il
matrimonio, però, non va bene e sul lavoro Gaspare ha frequenti
discussioni con i suoi superiori. La sua
realtà è fatta di eroina, hashish, Roipnol, furti di automobili, rapine
ai negozi, prostituzione. Quando non è in carcere (dove trascorre
in tutto sei anni), dorme alla Stazione Centrale, sulle panchine, a
volte a casa di un amico. Poi, conosce Francesca.
MANICOMIO E MORTE - Gaspare Zinnanti è
ritenuto incapace di intendere e di volere ed è pericoloso sia per gli
altri che per se stesso, ecco perché i giudici ne dispongono
l'immediato internamento in un ospedale psichiatrico giudiziario, dove
deve restare non meno di dieci anni. E' in una cella del manicomio
criminale di Reggio Emilia, che, nel luglio 2001, gli agenti di custodia
trovano il corpo di Gaspare impiccato alle sbarre.
SERIAL KILLER A MILANO: DELITTI DA 'SALVATORE DI
ANIME'
(ANSA) MILANO, 24 marzo
1997
"Io gli volevo bene, non li
odiavo, non volevo che soffrisseroà la vita è triste, è fatta di
tanti passaggi, si deve passare da uno stadio all'altroà io volevo fare
del bene".
Sono alcune delle frasi sconnesse, raccolte dalla
polizia durante la confessione di Gaspare Zinnanti, il serial killer di
Milano: tossicodipendente di 35 anni, origini palermitane, senza fissa
dimora, con piccoli precedenti penali, un ultimo soggiorno in carcere
esaurito due mesi fa, ha ammesso di aver ucciso a Milano, con due
diversi martelli, tre persone in 10-12 giorni, due nel giro di 24 ore.
E già che c'era si è anche auto-accusato di aver spinto sotto il metro
una donna. Circostanza, quest'ultima, sulla quale gli inquirenti hanno
molti dubbi. Una progressione che rischiava di non fermarsi, secondo il
timore degli investigatori; una progressione da "salvatore di
anime", secondo lui: un bisogno irresistibile di uccidere, di
"purificare" che aveva 'afferrato' Zinnanti, alle prese con
sempre più frequenti crisi 'mistiche', anche poche ore prima del suo
arresto per rapina insieme a un complice occasionale, alla ricerca di
soldi per mangiare. Arresto che ha probabilmente 'salvato' il complice,
Alessandro Vianello di 27 anni, di Mestre, anche lui tossicodipendente,
e qualche 'barbone' della Stazione Centrale che Zinnanti voleva
"non soffrissero più". Ha desistito per paura: "non
volevo che reagissero".
E'
questo, a grandi linee, il 'quadro' fatto, in una conferenza stampa, del
serial killer dalla polizia, che è riuscita con un paziente lavoro
investigativo a riannodare il filo di sangue che collegava i tre omicidi:
nessun riscontro, per il momento, invece per quanto riguarda il
tentativo di omicidio di Genoveffa Nuzzo, la donna spinta il 12 marzo
scorso sotto un treno della metropolitana della linea 3 di Milano, nella
stazione 'Sondrio'. La donna è ancora in ospedale: le sue condizioni
sono "in netta ripresa" dopo l'operazione per rimuovere un
edema cerebrale.
Riscontri oggettivi invece-hanno spiegato il capo della
Squadra Mobile, Lucio Carluccio, e il pm Laura Cairati,-sono emersi
sull'uccisione di Francesca Coelli, 52 anni, divorziata, benestante,
un'ultima parte di vita con diverse avventure, con l' hobby per video e
riviste porno; di Alvaro Calvi, 58 anni, ex marinaio, ex portavalori,
pensionato, omosessuale, e di Vincenzo Zenzola, 43 anni, anche lui
tossicodipendente, ultima vittima in ordine di tempo e di ritrovamento.
In particolare, è stato accertato che Zinnanti frequentava da tempo
Francesca Coelli, con la quale conviveva, e Alvaro Calvi; un martello,
usato per il primo delitto, è stato trovato nella spazzatura dal
custode del palazzo di via Vanvitelli, dove viveva la Coelli.
Zinnanti, quando è stato catturato, aveva i
pantaloni sporchi di sangue, non cambiava abiti da una settimana. Nella
sua confessione, ha rivelato alcuni particolari che hanno subito 'convinto'
gli inquirenti. Un altro martello usato per uccidere, che l'uomo ha
detto di aver buttato in un cassonetto della spazzatura, non è stato
trovato e la polizia sta verificando il luogo di acquisto. L'omicida,
nella sua 'lucida follia', ha invece manifestato alcune confusioni
temporali rispetto alle date dei delitti pur delineando, secondo gli
investigatori, "un disegno coerente" ed esprimendo "alcuni
pensieri razionali".
La ricostruzione. Zinnanti ha prima ammesso di aver
ucciso Francesca Coelli, trovata venerdì 21 marzo dalla polizia nel suo
appartamento signorile di via Vanvitelli, inginocchiata su un tappeto e
con il cranio fracassato appunto da un martello: sembra che la morte
risalga anche a 10-12 giorni prima.
Poi ha detto di avere ripreso le
frequentazioni di Alvaro Calvi e di averlo ucciso venerdì scorso: il
suo cadavere è stato scoperto il giorno dopo nel monolocale in viale
Monza.
E mentre trovavano questo corpo e gli investigatori cominciavano
a legare, attraverso Zinnanti, i due omicidi, il serial killer uccideva
ancora: vittima, stavolta, un occasionale compagno, Vincenzo Zenzola, 43
anni, il cui corpo seminudo, con i pantaloni abbassati, è stato trovato
ieri, proprio su indicazione dell'omicida in un edificio abbandonato
alla periferia sud di Milano, in via Sibari.
Zinnanti ha visto
interrompersi la sua 'carriera' di "salvatore di anime", come
la intendeva lui, domenica alle 13.30: è stato arrestato dalla polizia,
che lo stava cercando - ufficialmente come 'teste-chiave' di due delitti,
in realtà come sospettato n.1 - nella zona della Stazione Centrale dove
bazzicava di tanto in tanto e vi dormiva in qualche occasione. Poco
prima una giornalista radiofonica era stata rapinata di 73 mila lire da
Zinnanti, insieme a un complice occasionale, 'Sandro', con una siringa.
Due agenti della Polfer sono intervenuti, avvisati dalla donna che aveva
riconosciuto in uno dei rapinatori l'uomo le cui foto erano apparse sui
quotidiani. Zinnanti è così finito in questura e lì ha fatto le prime
ammissioni, poi una confessione completa. Una confessione che è andata
anche oltre le contestazioni e che gli inquirenti si riservano di
approfondire e verificare in ogni risvolto.
SERIAL KILLER MILANO: PER GLI ESPERTI E' UN 'MASS
MURDER'
(ANSA) ROMA, 24 marzo 1997
Manca la perversione sessuale che spinge i serial
killer ad uccidere. C'è, invece, un 'delirio paranoicale con base
mistica' proprio della patologia psichiatrica. Per questo il criminologo
Francesco De Fazio, esclude che il giovane tossicomane di Milano che si
è accusato di tre delitti possa essere definito un serial killer.
"I suoi - dice De Fazio, che dirige l'Istituto di medicina legale
dell'Università di Modena - non sono omicidi seriali, manca la spinta
perversa che muove il serial killer. Qui piuttosto sembra di essere di
fronte ad un delirio di purificazione".
Per il criminologo
Francesco Bruno negli omicidi di Milano "più che di un serial
killer si rileva la mano di un mass murder (omicida di massa)".
"Il serial killer - spiega Bruno - è sano di mente e comincia ad
uccidere da giovane. Gaspare Zinnanti sembra aver cominciato tardi. Ha
ucciso prima gli amici per arrivare, se non fosse stato arrestato, a
sopprimere chissà quanta gente". "E' un mass murder - dice
Bruno - perchè sembra avere la tipica patologia mentale del 'missionario'
che agisce ad una spinta interiore incontrollabile. Da qui un
comportamento disorganizzato che lo porta a lasciare un'infinità di
tracce e ad essere arrestato presto".
SERIAL KILLER MILANO: EROI NEGATIVI CHE FANNO
CASSETTA (DI PAOLO PETRONI)
(ANSA) ROMA, 24 marzo 1997
"Eroi negativi che fanno cassetta"
sintetizza il sottotitolo del volume sui "Serial killers" di
Marina Garbesi (Ed. Theoria) riferendosi al ritorno sulle pagine di
cronaca di questi omicidi seriali (ultimo quello di Milano), ma anche al
successo che hanno in libreria come al cinema in questo scorcio di fine
millennio, quasi a esorcizzarne le paure.
Non è certo un caso, e la
cosa dovrebbe farci riflettere sul nostro tempo e il ritorno
dell'interesse per i serial killer, che i primi film risalgano agli anni
(e gli orrori) dell'ultima guerra ,a parte l'antecedente (1931) del
"Mostro di Dusseldorf" di Fritz Lang: dal "Monsieur
Verdoux" di Charlie Chaplin (1944) a "La iena" con Boris
Karloff (1945). Dello stesso periodo sono anche i film ispirati a
Barbablù, la cui ombra sembra stendersi sino ai nostri giorni in
quest'anno in cui il personaggio creato da Charles Perrault nel 1897
compie 100 anni.
Poi la serie riprende sugli schermi col "Silenzio
degli innocenti" di Jonathan Demme (1991) per arrivare sino al
recente successo di "Seven" di David Fincker (1996), passando
per "La sindrome di Standhal" di Dario Argento e anche la
satira grottesca del "Mostro" di Roberto Benigni. In libreria
da varie settimane è in cima alle classifiche Patricia Cornwell con
l'ultima avventura della detective Kay Scarpetta sulle tracce appunto di
un serial killer in "Il cimitero dei senza nome" (Ed.
Mondadori).
A questo tipo di personaggio e di delitto antesignano della
letteratura'pulp' ora tanto di moda tra i nostri giovani autori (da
Niccolò Ammaniti a Eraldo Baldini) si è avvicinata pure una candidata
al premio Nobel come Joyce Carol Oates, che ha scritto con "Zombie"
(Ed. Marco Tropea) un lucido, lancinante racconto inquietante di scavo
psicologico in forma di diario di un giovane americano di buona famiglia
che si rivela psicopatico e sogna efferati omicidi.
Un tipo di criminale
che diviene persino metafora, se si accetta la provocazione di un
pubblicitario, Franz Krieg, che in nel suo "Spot killer" (Ed.
Lucifero) paragona il bisogno di placare un'insoddisfazione del serial
killer a quello di una cliente in un supermercato: la regola è
"creare sempre un bisogno: di sangue, di merce, in fondo non è la
stessa cosa?".
Il libro della Garbesi affronta il tema sotto tutti
i punti di vista, dalla narrativa al cinema ma soprattutto la cronaca,
dal racconto di casi alle analisi di personalità, dalle rivelazioni di
ispettori dell'Fbi a perizie e confessioni. In Italia, dai due Ludwig
del '77 (30 vittime) agli 'Infermieri della morte a Verona e Milano nel'95,
in 20 anni sono decine le vittime. Mentre si celebra anche il centenario
di Dracula, allora l' ossessione del serial killer pare un grande
esorcismo collettivo di una società che teme il diverso, l'altro che ha
in sè, ma anche che fugge la normalità.
SERIAL KILLER MILANO: ZINNANTI TRA LUCIDITA' E
DELIRIO
(ANSA) MILANO, 24 marzo 1997
Un
uomo all'apparenza mite, garbato ed affabile, con modi gentili che
incutono fiducia. Così viene descritto Gaspare Zinnanti dagli
investigatori che lo hanno interrogato a lungo, ieri pomeriggio e fino a
notte inoltrata, fino ad arrivare alla confessione di tre omicidi.
Una personalità contraddittoria: da una parte c'erano i delitti ed alcune
frasi deliranti usate per spiegarne il movente, dall'altra un racconto
per lunghi tratti "lucido e razionale" per fornire i
particolari degli omicidi, dei suoi rapporti con le vittime, degli
episodi della sua vita. Nei suoi momenti di delirio, Zinnanti affermava
di volere "salvare" altre anime.
E gli investigatori che gli
stavano di fronte hanno provato per un attimo un brivido quando,
cambiando tono, il pluriomicida ha detto, guardando fisso negli occhi di
uno di loro, che una nuova vittima gli serviva proprio, in quel momento,
per proseguire la sua "missione".
Trentacinque anni, nato a
Palermo, vissuto a Milano, Zinnanti è figlio unico di un camionista e
di una casalinga. Del padre, ha spiegato al magistrato, non ricorda
nulla perchè morì in un incidente stradale quando lui era molto
giovane. Con la madre, Maria Letizia, che vive a Magenta (Milano), ha
avuto pochi incontri negli ultimi anni. Per vivere ha fatto lavori
saltuari ed è ricorso ad espedienti, comprese piccole rapine.
Tossicodipendente per molti anni, di recente, ha detto, aveva smesso e
si era disintossicato. Conosciuto tra i tossicodipendenti, in
particolare quelli della zona della stazione Centrale di Milano,
Zinnanti aveva facilità nel frequentare anche ambienti estranei a
questo mondo, come dimostra la sua ultima relazione con una delle
vittime, Francesca Coelli, con la quale era andato a convivere dopo 20
mesi in carcere.
Preferiva, però, intrattenere rapporti sentimentali
con omosessuali, mentre quelli con le donne, ha spiegato lui stesso, li
teneva "solo per convenienza". Tra i tratti del suo carattere
che più ha colpito gli investigatori, c'è quel sentimento "quasi
d'amore" che diceva di provare per le vittime, e che si sarebbe
evidenziato anche al momento di colpirle.
Zinnanti ha infatti sempre
ucciso da dietro come se non volesse affrontare il loro sguardo.
Avvicinava le vittime designate da tergo quando queste erano tranquille
e serene e le colpiva con un gesto veloce e improvviso. Poi, se
necessario, le finiva con altri colpi. La perizia psichiatrica cui verrà
sottoposto potrebbe aiutare a capire quando e che cosa ha fatto scattare
in lui la follia omicida.
Per
ora, lui spiega solo che voleva "salvare le anime", che ne
cercava altre nella notte dopo il terzo delitto: ma ha avuto paura - non
ha spiegato di che cosa - e non ha colpito più.
SERIAL KILLER MILANO: INFERMO DI MENTE, NIENTE
PROCESSO
(ANSA) - MILANO, 13 marzo 1998
Gaspare Zinnanti,
il serial killer che uccise tre persone a Milano sostenendo di voler
purificare le loro anime per salvarle dalla dannazione, e' stato
dichiarato non imputabile in quanto totalmente infermo di mente.
In questo senso si e' espresso il gip Renato Bricchetti, annullando quindi
il processo in Corte di Assise.
L' uomo, che ha 35 anni, ed e'
originario di Palermo, nel marzo dello scorso anno,aveva ucciso in due
giorni Francesca Coelli, con la quale aveva avuto anche una relazione
sentimentale, e due amici, Alvaro Calvi e Vincenzo Zenzola, tutti
ammazzati a colpi di martello e trinciapollo.
Zinnanti si e' attribuito
anche un tentato omicidio, avvenuto sempre in quei giorni: quello di
Genoveffa Nuzzo, sospinta sui binari della metropolitana mentre era in
attesa di un treno alla stazione Sondrio. La donna, dopo alcuni giorni
in fin di vita, riusci' a superare la crisi e si salvo'. Zinnanti invece
fu arrestato alla fine di marzo mentre compiva una rapina nei pressi
della Stazione Centrale di Milano.
Sottoposto a perizia da parte dello psicopatologo
forense Gianluigi Ponti, Zinnanti fu definito totalmente incapace di
intendere e volere in quanto ''affetto da una grave ed acuta
schizofrenia e dotato di elevatissima pericolosita' sociale''. Il
decorso della malattia appare non prevedibile e le possibilita' che
possa verificarsi la guarigione sono molto scarse. Da qui la decisione
del gip di ritenere Zinnanti non imputabile per infermita'.
Gaspare
Zinnanti dovra' stare a tempo indeterminato nell' ospedale psichiatrico
giudiziario di Reggio Emilia, dove, ogni sei mesi, sara' sottoposto ad
accertamenti per controllare le sue condizioni di salute. Il pm Rosario
Spina, considerando la pericolosita' sociale del soggetto, aveva chiesto
come misura di sicurezza 15 anni di detenzione in ospedale giudiziario.